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Tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 prende avvio un lento processo di
stigmatizzazione e delegittimazione del "gioco duro" che, secondo Elias, “trova
la sua massima espressione nell’esperienza del gioco popolare, una pratica
nella quale la violenza si configurava come una componente costitutiva della
ludicità” (N. Porro, 1989, pag. 37).
Per Elias il passaggio dai giochi popolari alle competizioni sportive è il
“paradigma esemplare del processo di civilizzazione occidentale” (N. Porro,
1989, pag. 73). Nei giochi popolari il bisogno di excitement viene posto sotto
controllo attraverso un reticolo di prescrizioni e divieti sempre più formalmente
codificati in regole e statuti. L’esigenza primaria diviene quella di controllare la
tensione sportiva entro i confini di quella accettabilità della violenza che il
processo di civilizzazione è andato via via restringendo.
In questo modo inizia il processo di "sportivizzazione del loisir" che, dalla
fine del Milleseicento fino alla seconda metà dell’Ottocento, ha determinato il
passaggio dalla pratica ludica a quella sportiva.1
Durante il secolo dei Lumi molti pensatori individuarono nel gioco un
fattore potenziale di civilizzazione e di educazione; Montaigne, Locke e
Rousseau, tra gli altri, suggerirono un programma pedagogico nel quale l’attività
fisica doveva diventare “complemento di un più vasto disegno, mirante allo
sviluppo armonico dei sentimenti individuali e collettivi” (S. Pivato, 1994, pag.
16). In base a questo disegno il corpo, “allenato alla sua cura attraverso i
precetti dell’igiene e dell’educazione fisica, divenne fondamento di educazione
morale” (S. Pivato, 1994, pag. 17).
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento l’interesse della cultura
intorno alle pratiche fisiche portò, nell’Europa continentale, alla nascita del
movimento ginnastico. Esso tese a marginalizzare ogni attività ludica all’aria
aperta, considerandola poco adatta alla formazione di una coscienza civica e
nazionale, e privilegiò le palestre e gli attrezzi ginnici perché ritenuti più adatti a
realizzare gli obiettivi del movimento.
Negli stessi anni, nei college inglesi prese avvio una regolamentazione
tesa a civilizzare i giochi tradizionali, formalizzandoli secondo precise norme
allo scopo di eliminarne gradualmente il ricorso alla violenza. Fu proprio qui che
vennero scritte le regole di gran parte dei giochi di squadra praticati ancora oggi
nel mondo; Essi, fino a quell’epoca occasione di risse e scontri fisici, divennero
strumenti utili a plasmare lo spirito di gruppo, il senso della disciplina e l’incontro
tra avversari.
In questo modo, nella seconda metà dell’Ottocento lo sport si venne
configurando come un sistema uniforme che razionalizzò l’attività ludica
caratteristica dei secoli precedenti. Scopo del gioco moderno, opportunamente
regolamentato e controllato, divenne essenzialmente quello di “produrre
situazioni simboliche che garantissero l’equilibrio in tensione tra la sfera
emozionale ed il controllo della stessa, in un contesto di accresciuta sensibilità
culturale alla violenza” (N. Porro, 1989, pag. 73).
Lo sport, e soprattutto gli sport di squadra che evolsero verso la forma
nella quale ci sono pervenuti, sono il frutto di questo processo secolare iniziato
nel periodo illuministico e completato nell’Inghilterra vittoriana della seconda
metà del Diciannovesimo secolo. Esso si venne configurando “come un insieme
di regole e di rigide formalizzazioni di giochi preesistenti, e divenne veicolo di
una compiuta ideologia: quella dell’athleticism” (S. Pivato, 1994, pag. 27).
Un altro contributo alla genesi dello sport moderno venne offerto dalla
misurazione come espressione del principio di prestazione. Ad essa si
connesse la nozione di record come portato tipico della modernità industriale.
La misurazione fu molto approssimativa nei giochi dell’antichità e solo con lo
sport moderno essa acquisì un rilievo assoluto che, insieme alla progressiva
universalizzazione delle regole sportive, contribuì ad esaltare il fascino del
record e della competizione sportiva che, da pratica ludica, divenne strumento
di confronto agonistico.
“Molti sport oggi praticati in modo più o meno uguale hanno avuto origine
in Inghilterra” (A. Roversi, – G. Triani, 1995, pag. 33) una nazione che, oltre ad
aver inventato il nuovo modo di produzione industriale, impose al mondo nuovi
costumi e stili di vita. Fare dello sport significò identificarsi con quell’idea di
modernità e di novità che la rivoluzione industriale e la sua patria evocavano, e
fu da qui che lo sport assunse il significato odierno e si sviluppò al resto
dell’Europa. Infatti, se “ancora fino alla metà del Diciannovesimo secolo il
termine indicava solo le aristocratiche attività del tempo libero” (S. Pivato, 1994,
pag. 20), le trasformazioni finora descritte ne fecero assumere il significato
attuale, ribadito anche recentemente nella carta sportiva europea del Consiglio
d’Europa 2.
Infine, tra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento la ′nuova
mania del secolo′ si diffuse “all’esterno del territorio di origine seguendo, senza
apprezzabili eccezioni, gli itinerari del colonialismo” (N. Porro, 1989, pag. 78).
Lo sport si avviò così a diventare uno dei simboli più rappresentativi del
Ventesimo secolo, e la pratica sportiva che meglio di qualunque altra spiega le
dinamiche di diffusione del fenomeno sportivo è, per le dimensioni universali
che esso ha rappresentato, il calcio.
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NOTE
1) Secondo A. Guttmann, “il rituale ed il record rappresentano le polarità entro le quali si svolge la
vicenda secolare dello sport. Una vicenda riassumibile nella progressiva transizione dal modello
tradizionale – il cui archetipo è rappresentato per Guttmann dalle corse sacre degli Indiani delle pianure
americane, con la loro visione dualistica, religiosa, totalizzante e fortemente allegorica del mondo – a
quello industriale. Lo sport che si ispira alla cultura del record e al paradigma della società industriale
è, perciò, secolarizzato, non discriminatorio sul piano delle opportunità e del diritto di accesso,
specializzato tecnicamente, dominato dai criteri della misurazione scientifica (quantificazione,
precisione, comparabilità). Si potrebbe definirlo, perciò, come un perfetto prodotto della modernità
descritta da Weber, i cui caratteri dominanti sono la razionalizzazione e la burocratizzazione.” (Porro,
N., 1989, pag. 86). Inoltre, secondo Elias, lo sport rappresenta un paradigma esemplare del processo di civilizzazione occidentale, per la sua capacità di produrre equilibrio in tensione, canalizzando
costruttivamente le energie compresse attraverso il controllo ed il disciplinamento delle emozioni. In
particolare, cfr. Elias, N., il processo di civilizzazione.
2) Tale carta afferma che “Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una
partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l’espressione e il miglioramento della condizione
fisica e mentale, con la promozione della socializzazione e/o il conseguimento di risultati in competizioni
a tutti i livelli”. La Carta è stata sancita il 24 settembre del 1992 ed aggiornata il 16 maggio 2002. In
proposito cfr. il sito internet del Consiglio d’Europa http://cm.coe.int/ta/rec/1992/92r13rev.htm.
(settembre 2003).
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