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La sportivizzazione del loisir di Alessandro Prunesti |
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Tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 prende avvio un lento processo di
stigmatizzazione e delegittimazione del "gioco duro" che, secondo Elias, “trova
la sua massima espressione nell’esperienza del gioco popolare, una pratica
nella quale la violenza si configurava come una componente costitutiva della
ludicità” (N. Porro, 1989, pag. 37).
Per Elias il passaggio dai giochi popolari alle competizioni sportive è il
“paradigma esemplare del processo di civilizzazione occidentale” (N. Porro,
1989, pag. 73). Nei giochi popolari il bisogno di excitement viene posto sotto
controllo attraverso un reticolo di prescrizioni e divieti sempre più formalmente
codificati in regole e statuti. L’esigenza primaria diviene quella di controllare la
tensione sportiva entro i confini di quella accettabilità della violenza che il
processo di civilizzazione è andato via via restringendo.
In questo modo inizia il processo di "sportivizzazione del loisir" che, dalla
fine del Milleseicento fino alla seconda metà dell’Ottocento, ha determinato il
passaggio dalla pratica ludica a quella sportiva.1
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NOTE 1) Secondo A. Guttmann, “il rituale ed il record rappresentano le polarità entro le quali si svolge la vicenda secolare dello sport. Una vicenda riassumibile nella progressiva transizione dal modello tradizionale – il cui archetipo è rappresentato per Guttmann dalle corse sacre degli Indiani delle pianure americane, con la loro visione dualistica, religiosa, totalizzante e fortemente allegorica del mondo – a quello industriale. Lo sport che si ispira alla cultura del record e al paradigma della società industriale è, perciò, secolarizzato, non discriminatorio sul piano delle opportunità e del diritto di accesso, specializzato tecnicamente, dominato dai criteri della misurazione scientifica (quantificazione, precisione, comparabilità). Si potrebbe definirlo, perciò, come un perfetto prodotto della modernità descritta da Weber, i cui caratteri dominanti sono la razionalizzazione e la burocratizzazione.” (Porro, N., 1989, pag. 86). Inoltre, secondo Elias, lo sport rappresenta un paradigma esemplare del processo di civilizzazione occidentale, per la sua capacità di produrre equilibrio in tensione, canalizzando costruttivamente le energie compresse attraverso il controllo ed il disciplinamento delle emozioni. In particolare, cfr. Elias, N., il processo di civilizzazione. 2) Tale carta afferma che “Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l’espressione e il miglioramento della condizione fisica e mentale, con la promozione della socializzazione e/o il conseguimento di risultati in competizioni a tutti i livelli”. La Carta è stata sancita il 24 settembre del 1992 ed aggiornata il 16 maggio 2002. In proposito cfr. il sito internet del Consiglio d’Europa http://cm.coe.int/ta/rec/1992/92r13rev.htm. (settembre 2003). |
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