Obiettivo “media company”. E’ con questa strategia che la società d’investimento statunitense RedBird è pronta all’ingresso nel Milan come nuovo socio di controllo.
L’obiettivo è creare, come già avviene negli Stati Uniti (con i club nel baseball, nel basket e nel football americano) sinergie in altri settori, che non siano strettamente il calcio (tv, immobiliare, retail), in modo da aumentare il giro d’affari della società rossonera che oggi, nella stagione 2020-2021, si aggira sui 260 milioni di euro.
RedBird ha una forte specializzazione in questo settore. Inoltre, vede nel Milan un brand globale. Si tratta di una strategia che accomuna molti fondi d’investimento che vogliono, almeno a parole, investire sul calcio.
Oltre un anno fa anche un private equity di primo piano, come Bc Partners, ha avviato discussioni (poi tramontate) con la famiglia Zhang per acquistare l’Inter. Anche in quel caso c’era il progetto di far diventare l’Inter una “media company”.
Quello tra i fondi di private equity e gli investimenti nel calcio è però un rapporto contraddittorio. Tante buone intenzioni, ma alla fine pochi investimenti. Elliott, che potrebbe essere il primo fondo d’investimento in Italia a vincere un campionato di calcio di Serie A, è diventato proprietario del Milan grazie all’escussione di un pegno, quello sul finanziamento al misterioso cinese Yonghong Li.
Non ci sono state, invece, fino ad oggi, operazioni classiche dei private equity su una squadra di calcio in Italia, cioè un cosiddetto “leverage buyout”, con l’utilizzo di leva finanziaria: è facilmente spiegabile visto che nelle attuali situazioni dei club italiani, che bruciano cassa anziché generarla, sarebbe impossibile.
A dir la verità questa tipologia di operazioni è difficilmente riscontrabile anche nel calcio europeo. Bisogna risalire nel tempo al 2005, quando la famiglia americana Glazer lanciò un’Opa ostile da 1,47 miliardi di dollari sul quotato Manchester United, con un “leverage buyout”: facendo, quindi, leva sui debiti contratti per perfezionare l’acquisto, scaricandoli sulla società comprata.
In Italia gli ultimi cambi di proprietà mostrano così tutte operazioni di tipologia non comparabile. Silvio Berlusconi ha ceduto nel 2017 il Milan al misterioso cinese Yonghong Li sulla base di un enterprise di 740 milioni. Per raggiungere l’obiettivo era stato necessario un finanziamento di 300 milioni proprio di Elliott a Mister Li, ma il prestito era stato concesso a monte, cioè nella holding di controllo del club rossonero.
Enrico Preziosi ha venduto lo scorso anno il Genoa agli americani di 777 Partners, gruppo finanziario che tuttavia non è assimilabile a un fondo. L’operazione ha avuto il prezzo simbolico di un euro.
Ci sono, infine, gli imprenditori americani come Dan Friedkin e Rocco Commisso che hanno comprato negli anni passati AS Roma e Fiorentina, in parte, con finanziamenti a monte della catena di controllo.
Proprio se si guardano gli investitori americani, c’è un filo rosso che li accomuna sul calcio europeo: le squadre del Vecchio Continente, anche le più blasonate, hanno valutazioni a saldo se confrontate con quelle delle società sportive americane, nel baseball, basket e football americano, che vengono comprate a multipli ben più elevati.
Quindi gli 1,3 miliardi del Milan, per alcuni versi, potrebbero essere considerati un buon affare da RedBird, soprattutto nel caso in cui riuscisse a far crescere il valore globale del club rossonero.
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