Le società come attività commerciali: SPA a tutti gli effetti con finalità di lucro soggettivo e oggettivo (legge 586 del 96’).
Ai giorni d’oggi la forza inarrestabile dell’elemento commerciale ha preso il sopravvento anche sullo sport in genere e in particolare sullo sport calcio che pur aveva i suoi cardini e la sua vitalità nell’aspetto ludico ed agonistico.
Gli accesi e ricorrenti dibattiti fra i dirigenti e gli addetti ai lavori, anche per il più lieve errore arbitrale, se visti sotto l’aspetto proporzionale testimoniano il valore della posta in palio.
L’introduzione dello scopo di lucro, per effetto della legge 18 novembre 1996 n° 586, sancisce la definitiva evoluzione delle società calcistiche in aziende a tutto tondo, market oriented.
Le principali conseguenze derivanti dall’introduzione dello scopo di lucro nel calcio, possono essere suddivise tra dirette ed indirette.
Le conseguenze dirette implicano la necessità di remunerare il capitale investito sottendendo l’individuazione di politiche d’impresa volte a fronteggiare i costi, a mantenere l’equilibrio finanziario e a garantire la solidità patrimoniale delle società nel medio - lungo termine.
Quelle indirette impongono al club sportivo di aziendalizzarsi soprattutto attraverso un rinnovamento manageriale, in grado sia di valorizzare le diverse funzioni d’impresa, sia di sfruttare tutte le diverse aree strategiche d’affari della società.
In un simile processo di cambiamento, il ruolo del manager, quale portatore di valori aziendali e di sport sano e pulito, diviene di fondamentale importanza fungendo da garante della redditività di lungo periodo.
La legge presenta una serie di cambiamenti importanti ed innovativi che riguardano, innanzi, l’art.6 della legge n°91 del 1981, ma anche gli artt. 10, 12, 13, 15, della medesima.
Si riportano qui di seguito le sostanziali modifiche di cui alla succitata legge:
• viene finalmente previsto l’obbligo di nominare in qualunque caso il Collegio Sindacale all’interno della struttura societaria, indipendentemente da quanto previsto dall’art. 2488 del codice civile;
• viene abrogato il secondo comma dell’art. 10 della L. 91/81’ che obbliga i club al reinvestimento degli utili realizzati “per il perseguimento esclusivo dell’attività sportiva.
Si elimina, pertanto, la preclusione delle Società sportive professionistiche alla distribuzione ai soci dell’utile di esercizio e del residuo attivo della liquidazione, rendendo così tali società “a fini di lucro” a tutti gli effetti;
• viene aggiunto un nuovo comma all’art. 10, il quale favorisce lo sviluppo dell’azionariato popolare con il quale si dispone che, “non costituisce sollecitazione del pubblico risparmio il collocamento di azioni ed altri valori mobiliari tra persone fisiche o giuridiche per importi unitari non superiori ai 10 milioni di lire”;
• vengono modificati gli articoli 12 e 13; il primo viene sostituito da una nuova disposizione che mira a dividere le controversie sulla conciliabilità tra controlli federali e poteri giudiziari.
Il nuovo art. 12 dispone che i controlli devono essere esercitati “al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi”. In questo modo si limita l’incidenza degli atti di controllo compiuti dalla federazione al solo ambito sportivo.
Per quanto concerne l’art. 13, da un lato elimina la possibilità per la federazione di chiedere all’autorità giudiziaria la messa in liquidazione della società sportiva, dall’altro stabilisce direttamente in capo alla Federazione nazionale di appartenenza il potere di compiere una denuncia, come stabilisce l’art. 2409 del c.c.;
• viene evidenziata un’altra novità dalla formulazione dell’art.13: la modificazione del trattamento delle eventuali voci dell’attivo residuate dalla liquidazione della società; in precedenza i soci, al momento della liquidazione potevano, al massimo, vedersi rimborsato il valore nominale delle quote possedute poiché le eccedenze erano di pertinenza del CONI.
Con la nuova disciplina viene eliminata qualunque limitazione al rimborso di dette quote.
• viene introdotta dal legislatore una nuova versione del comma 2° dell’articolo 10, il quale stabilisce che “l’atto costitutivo deve prevedere che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive ed attività connesse e strumentali” ampliando così la sfera delle attività commerciali esercitabili.
Si ha così la definitiva trasformazione dei club in società di capitali, le quali mirano al conseguimento dei profitti ed incoraggiano verso modelli di funzionamento e di distribuzione, tipici dei ruoli dell’impresa privata.
Con questa legge si è mostrata l’evoluzione che ha portato il calcio a divenire un vero fenomeno di business e i club orientati verso vere e proprie aziende.
Questo processo ha avuto enormi conseguenze non solo per le società di calcio bensì per tutti gli altri soggetti del mercato: sostenitori in primis ma anche media, aziende commerciali, investitori e consumatori.
Il calcio mostra un potere catalizzatore così incisivo da renderlo uno degli spettacoli più seguiti e trasmessi dai media, di conseguenza ritenuto dalle aziende uno strumento privilegiato per promuovere i propri prodotti e la propria immagine.
La tendenza principale in atto, ed allo stesso tempo economicamente significativa, è quella di una sempre maggiore integrazione di questi soggetti (società, media, aziende) e in particolare delle funzioni di produzione, di distribuzione e di sponsorizzazione di questo sport.
Come si può vedere dalla precedente figura, nel settore calcio esiste un fitto e complesso insieme di relazioni, in cui le più rilevanti appaiono essere:
1. tra i media e il calcio, per l’acquisto dei diritti inerenti alla trasmissione degli eventi in cambio di ingenti somme di denaro;
2. tra le aziende e il calcio, soprattutto in termini di sponsorizzazioni, per cui le aziende finanziano il mondo calcistico in cambio di una adeguata promozione dei loro marchi;
3. tra media e le aziende, in cui queste ultime pagano in modo sostanzioso gli spazi pubblicitari messi a disposizione dei media durante le trasmissioni degli incontri calcistici;
4. tra consumatori e aziende, per la compravendita di prodotti e servizi;
5. tra gli spettatori e i media, per l’accesso indiretto (tramite TV, radio, internet) agli eventi calcistici.
Questo quadro è andato nel tempo modificandosi fino ad arrivare a questo tipo di situazione:
In cui:
a) spettatori e consumatori vengono idealmente a formare un mercato comune ed un target di riferimento per diversi soggetti interessati, in cui la figura del tifoso racchiude allo stesso tempo quella di spettatore e consumatore;
b) la fusione dello spettatore e del consumatore nella sola ed unica anima del tifoso calcistico, spinge i produttori, finanziatori e distributori ad un sempre più forte legame fra loro, in cui il patrimonio e il target comune di riferimento diventano il vasto mondo dei tifosi e degli appassionati (24 milioni), che questo sport garantire.
In questo articolo si è provato ad interrogarci sulla vera natura del calcio oggi e a domandarci se la valenza commerciale di questo sport abbia preso il sopravvento.
Secondo il mio personale punto di vista è innegabile che il processo di aziendalizzazione delle società non si può più fermare poiché troppo alti sono gli interessi in gioco.
Queste trasformazioni contribuiranno a definire meglio il nuovo percorso che il calcio deve ricercare: produrre spettacolo e divertimento per il mondo di appassionati che lo segue, senza però disperdere per strada il suo patrimonio fatto di valori, significati e motivazioni, che da sempre hanno fatto parte della sua storia; il tutto all’interno di una nuova gestione che garantisca il rispetto di basilari vincoli di bilancio.
Finisce l’era dei presidenti mercenari; il calcio inizia così la sua divisione in due tronconi. Il primo è formato dalle squadre blasonate capace di muovere masse di tifosi e appassionati, richiamando su di sé ingenti investimenti da parte dei più svariati settori. L’altro è un calcio di secondo livello, importante alla stessa maniera, se non di più, fondamentale per la sua valenza sociale e di radicamento nel territorio, ma incapace, probabilmente, di richiamare su di sé gli investimenti importanti e costretto, soprattutto, a cercare la via della sopravvivenza.
Si può osservare che alcuni dirigenti di club italiani non riescono ancora a captarne l’evoluzione cui stiamo assistendo: il calcio si inserisce, in modo assai prepotente, nel vasto mondo dell’entertrainement.
Anche se tutti sono completamente d’accordo nel considerare queste società come aziende, la consapevolezza di dover considerare che il successo sportivo non costituirà il fine bensì il mezzo per il raggiungimento sportivo delle aziende, ovvero il profitto, sembra ancora molto lontana ed estranea alla cultura calcistica italiana.
Il contrasto di interessi inevitabili che scaturirà fra azionisti e tifosi, dovrebbe far riflettere quanto inevitabile sia il problema di cui trattasi.
Possiamo concludere che le evoluzioni in atto stanno imponendo al calcio una sfida che si potrà vincere solo riuscendo a trovare validi punti di equilibrio fra le seguenti componenti: