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Quando si parla di merchandising un po’ per tutti si fa riferimento al Manchester United commettendo così un grosso sbaglio: è senz’altro vero che i ricavi provenienti da questa attività ammontano ad un livello indubbiamente considerevole, come d’altronde lo è per le altre società inglesi, ma la caratteristica più rimarchevole è invece la spinta di diversificazione che ha saputo attuare.
A tal riguardo risuonano esemplari le parole di Steve Richard e del presidente per poter capire la cultura e la filosofia del club.
Steve Richard: “il merchandising è il risultato di tutto il resto, non è qualcosa che si alimenta da solo; esso dipende dai risultati della squadra, dalla base dei tifosi, dalla TV, dalle visite scolastiche allo stadio, dai genitori che vengono a visitare il teatro dei sogni”.
Il Presidente fece un giorno il seguente discorso davanti a 50.000 tifosi festanti dopo una vittoria: “Cari signori, miei appassionati tifosi, ricordatevi che se comprate i prodotti della Umbro (allora sponsor tecnico del club) io incasso le royalties e posso così rafforzare la squadra”.
I tifosi devono aver capito bene tale messaggio, visto le incredibili entrate su cui può contare la società dalla vendita dei suoi prodotti.
L’obiettivo della divisione merchandising al Manchester è quello di dare ai tifosi un “pezzo” della squadra e di gestire il passaggio del merchandising da una mera vendita opportunistica di souvenir, alla creazione di un vero marchio di qualità e fedeltà che duri una vita.
Le fonti di proventi delle società di calcio
Per ciò che concerne le “aree di redditività”, che sembrano mostrare le più alte potenzialità di crescita, meritevoli di essere segnalate:
• La gestione diretta degli stadi
• Lo sviluppo del merchandising
• La cessione dei diritti di trasmissione per quello che riguarda Internet e la telefonia mobile
• L’offerta di particolari strumenti finanziari, come ad esempio le obbligazioni magari indicizzate in funzione di obiettivi sportivi
• Lo sfruttamento dei diritti d’immagine dei calciatori
• La partecipazione alle grandi manifestazioni internazionali, in particolare alla Champions League.
Sarà importante che i club ricerchino, sempre più attivamente, nuove fonti di ricavo connesse con il proprio CORE BUSINESS per non rischiare di rimanere scoperti finanziariamente, soprattutto, se i risultati attesi o programmati non fossero raggiunti.
Le scelte di investimento non sono di facile attuazione in un settore come quello sportivo in cui la variabile rischio comporta l’esigenza di nuovi introiti, indipendenti dall’attività agonistica, e lo sviluppo di attività orientate ad una diversificazione delle fonti di ricavo.
A mio personale parere tutto ciò significa che le società italiane di calcio, se vogliono essere competitive con i loro concorrenti, dovranno dapprima investire in cultura e formazione manageriale per poter abbattere le barriere culturali che attribuiscono ancora al calcio professionistico una valenza puramente agonistica.
Per quanto concerne la gestione dello stadio, i club italiani devono apprendere ancora molto dall’esperienza maturata da molte società calcistiche europee, per quel che riguarda l’utilizzo polivalente dei loro impianti sportivi.
La gestione dello stadio comporta infatti, non solo mantenere e riorganizzare gli spazi già esistenti, ma soprattutto ideare e costruire nuove strutture in grado di ospitare esercizi commerciali di vario tipo come negozi, ristoranti, ricevitorie, cinema, supermercati, palestre, centri conferenze etc. (vedi Juventus)
Per le nostre società lo stadio rappresenta, purtroppo, ancora una voce di costo non indifferente legata ai vincoli oggettivi a cui sono ancorate e cioè:
• canoni di locazione e spese di manutenzione
• capienza media elevata
• presenza della pista di atletica
• età delle strutture elevate
• impianti di proprietà dei Comuni
A mio avviso bisognerà “capire“ il pubblico calcistico, non trattarlo più da tifoso ma da cliente, fare di un avvenimento uno spettacolo, acquisire cioè una mentalità tipica della “profit company”, riuscendo a tradurre in utili economici quel fenomeno socialmente così importante come il Calcio.
Nello sviluppo del business sportivo le risorse immateriali (la notorietà, l’immagine, la fedeltà) sono un’importante fonte di vantaggi competitivi da sfruttare.
Nel caso delle società di calcio, queste risorse sono contenute nel marchio che rappresenta l’elemento di sintesi in tutti i processi di scambio istaurati tra il club e il proprio ambiente di riferimento esterno, costituito dal pubblico sportivo (tifosi ed appassionati), sponsor e mass media.
Il merchandising si può allora definire come l’insieme delle tecniche, dirette ed indirette, per lo sfruttamento del marchio a fini lucrativi; esso indica proprio le “tecniche di acquisto dei diritti di sfruttamento di una notorietà allo scopo di valersene nel commercio di determinati prodotti”.
Il club deve intendere questa attività, non solo come uno sfruttamento di comunicazione, ma soprattutto come leva strategica capace di accrescere l’immagine del marchio attraverso il valore suggestivo che reca l’acquisto di particolari atleti o la partecipazione a determinate partecipazioni.
L’esperienza maturata dai club inglesi, infatti, dimostra che questa disciplina, e più in generale lo sport, è probabilmente il maggior creatore di icone sfruttabili commercialmente.
In complesso solo il 32% delle società italiane, contro il 100% dei club inglesi, attua un’attività di merchandising; da non dimenticare che il licensing rimane privileggiato dai nostri clubs rispetto alla produzione in voga in Gran Bretagna. I proventi delle società di calcio italiane derivano appunto dalle royalties che i diversi produttori di gadget pagano per diventare loro aziende licenziatarie.
Gli introiti della voce merchandising e royalties delle nostre società di serie A non sono praticamente nulla rispetto a quanto incassa la sola squadra del Manchester United, vero e proprio precursore dei tempi.
Ad esempio la Juventus, la squadra che vanta la più importante tradizione sportiva con un seguito di tifosi superiore ai 10 milioni di persone, solo negli ultimi anni sta cercando di colmare il "gap" rispetto ai club europei più titolati, attraverso la vendita di gadget e di tutto ciò che ruota attorno al merchandising.
Detto questo, non possiamo non guardare al futuro in modo positivo, convinti del fatto che questo è un settore ancora in espansione, considerando l’ottimo valore di penetrazione e di notorietà di questo sport, anche se difficilmente i nostri club potranno riuscire, in tempi brevi, a fatturare cifre vicine a quelle dei club inglesi.
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