Doping. Una parola che
da qualche mese a questa parte sta tristemente dominando la nostra quotidianità.
La stampa, la televisione ed i media lo hanno eletto tema dominante,
probabilmente al fine di rendere più coscente l'opinione pubblica su
questo grande nemico, anche per via dei vari decessi da esso causati
in questo inizio d'anno. Alcuni sono avvenuti proprio sui campi di calcio
durante la disputa della partita. Ed ora ogni volta che un calciatore
si accascia, anche solo per un semplice mancamento, è il panico totale.
Proprio come è accaduto di recente durante l'incontro Juventus-Reggina,
quando il difensore bianconero Nicola Legrottaglie si distende a terra
perché colto da malore improvviso.
Il problema dell'uso di sostanze
proibite però non riguarda solo il mondo del calcio, riguarda tutta
la gamma degli sport: dal ciclismo al nuoto, dal basket al body building
e molte altre, fino all'insospettabile tiro con l'arco.
Ma vediamo di
conoscere più a fondo questa sorta di Bin Laden dello sport.
Ci sono
diverse definizioni di doping, ma la definizione convenzionalmente accettata
è quella elaborata dalla IAAF (International Amateur Athletic Federation)
la quale cita che "il doping è l'uso da parte di un atleta, o la distribuzione
ad esso, di determinate sostanze che possono avere l'effetto di migliorare
artificialmente la condizione fisica e/o mentale dell'atleta stesso,
aumentando così la sua prestazione atletica".
Per definizione quindi il doping ha effetti non solo fisici ma anche
mentali, soprattutto nella fattispecie psicologica. Il tutto ha
inizio quando dei ragazzi particolarmente talentuosi iniziano a percepire
lo sport in chiave professionistica, magari spinti dai genitori che
iniziano ad esaltarlo, a stimolarlo alla competitività con l'effetto
di rinforzare patologicamente il suo Io narcisistico. L'atleta così
elabora nella sua testa la massima "se non vinco non valgo"
ed ecco che inizia a nascere la fobia dell'insuccesso e al primo
errore va dritto dritto in depressione.
Inutile dire che questa è la strada
che porta immediatamente al doping, prima per poter arrivare ad essere
delle stelle dello sport e poi per mantenere,se non addirittura superare, il
livello raggiunto oppure si è fuori. Non bisogna dimenticare che a quei
livelli gli atleti sono sottoposti ad allenamenti stressanti,ad incontri
difficili e poi ci si mette anche il pubblico che è sempre più esigente.
Questo
accade perché spesso le società trascurano che lo sport è fatto di uomini,
ed in quanto umani hanno anche dei limiti. Superata una certa soglia
le energie proprie si esauriscono e per questo devono ricorrere all'energia
artificiale del doping, di cui vengono esaltate le positive modificazioni
a livello fisico e minimizzate quelle negative per la salute.
Se fosse
ancora vivo si potrebbe chiedere a Marco Pantani la conferma di quanto
appena detto. Prima messo su un piedistallo e poi schiacciato da chi
su quel piedistallo lo aveva posto,nascondendosi dietro un dito chiamato
doping. Non voglio dire che Pantani era un santo ma di certo non era
l'unico a ricorrere a qualche "aiutino" per scalare le montagne sulla
sua bicicletta. Per questo sento di concordare con quella parte che
ritiene che Pantani abbia pagato per tutti. Definirei queste persone
come degli sportivi a metà, in quanto privi dei valori dell'etica sportiva
secondo cui tutti gli atleti debbono gareggiare a parità di condizioni
rispettando un regolamento,stabilito dalla Federazione Sportiva di appartenenza,liberamente
accettato. Tale regolamento comprende anche un elenco delle classi di
sostanze dopanti,ovvero quelle che non fanno sentire la fatica; che
migliorano i riflessi,la forza e la resistenza; che riducono il dolore,il
peso corporeo, l'ansia;che mascherano la presenza nelle urine delle
sostanze vietate che sono: stimolanti, narcotici, agenti anabolizzanti,
diuretici,ormoni peptidici e affini.
Sono inoltre indicati i metodi
proibiti: doping ematico o emotrasfusione, adottato per aumentare la
massa dei globuli rossi e quindi la capacità di trasporto dell'ossigeno
nel sangue (attualmente in disuso perché soppiantata da altri metodi);
manipolazione farmacologia,chimica e fisica delle urine ovvero la procedura
che permette di alterare i test antidoping.
Sono indicate infine le
cosiddette sostanze soggette a restrizioni d'uso:alcol; marijuana; anestetici
locali; corticosteroidi; beta-bloccanti (sostanze che bloccano il tremore
e l'ansia).
Per legge un atleta è tenuto a conoscere le sostanze il
cui uso gli è proibito dalla Federazione Sportiva cui è affiliato e
per le quali potrebbe essere sottoposto ad accertamenti da parte degli
organi di controllo,proprio come previsto all'art.6 della legge 14 dicembre
2000 n.376 in cui si afferma "gli atleti aderiscono ai regolamenti e
dichiarano la propria conoscenza ed accettazione delle norme in essi
contenute",e se violate, e non solo dagli atleti, comportano delle sanzioni.
La casistica giudiziaria però non si esime dal ricordarci il vaticinio
che è l'eccezione che conferma la regola,come è avvenuto con una sentenza
emessa dalla Cassazione assolvente un "pusher" di nandrolone
perché "la legge non punisce lo spaccio del nandrolone nel mercato clandestino
delle sostanze dopanti se manca la prova che la vendita è finalizzata
ad alterare i risultati delle competizioni agonistiche".
Dopo gli aspetti fisiologici ecco un altro fatto allarmante: lo spaccio
clandestino.
Insomma il doping come un circolo vizioso che si vuole interrompere
cercando i responsabili ed individuando una soluzione. Molti individuano
la soluzione nel riportare l'attività sportiva al suo status
di promotrice della salute individuale e collettiva,ma ciò ha
l'amaro sapore dell'utopia se pensiamo che il doping ha alle spalle
una storia lunga più di due secoli. Sapete a quando risale la prima
volta del termine doping in ambito sportivo? Alla fine dell'ottocento
per indicare una particolare miscela a base di oppio, narcotici vari
e tabacco che veniva somministrata ai cavalli da corsa in Nord America.
I nostri atleti del terzo millennio come i cavalli di fine ottocento.
NO COMMENT!
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