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Sportivi a metà col doping

di Maria Cristina Tora

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    Doping. Una parola che da qualche mese a questa parte sta tristemente dominando la nostra quotidianità.
La stampa, la televisione ed i media lo hanno eletto tema dominante, probabilmente al fine di rendere più coscente l'opinione pubblica su questo grande nemico, anche per via dei vari decessi da esso causati in questo inizio d'anno. Alcuni sono avvenuti proprio sui campi di calcio durante la disputa della partita. Ed ora ogni volta che un calciatore si accascia, anche solo per un semplice mancamento, è il panico totale. Proprio come è accaduto di recente durante l'incontro Juventus-Reggina, quando il difensore bianconero Nicola Legrottaglie si distende a terra perché colto da malore improvviso.

Il problema dell'uso di sostanze proibite però non riguarda solo il mondo del calcio, riguarda tutta la gamma degli sport: dal ciclismo al nuoto, dal basket al body building e molte altre, fino all'insospettabile tiro con l'arco.
Ma vediamo di conoscere più a fondo questa sorta di Bin Laden dello sport.
Ci sono diverse definizioni di doping, ma la definizione convenzionalmente accettata è quella elaborata dalla IAAF (International Amateur Athletic Federation) la quale cita che "il doping è l'uso da parte di un atleta, o la distribuzione ad esso, di determinate sostanze che possono avere l'effetto di migliorare artificialmente la condizione fisica e/o mentale dell'atleta stesso, aumentando così la sua prestazione atletica".
Per definizione quindi il doping ha effetti non solo fisici ma anche mentali, soprattutto nella fattispecie psicologica. Il tutto ha inizio quando dei ragazzi particolarmente talentuosi iniziano a percepire lo sport in chiave professionistica, magari spinti dai genitori che iniziano ad esaltarlo, a stimolarlo alla competitività con l'effetto di rinforzare patologicamente il suo Io narcisistico. L'atleta così elabora nella sua testa la massima "se non vinco non valgo" ed ecco che inizia a nascere la fobia dell'insuccesso e al primo errore va dritto dritto in depressione.
Inutile dire che questa è la strada che porta immediatamente al doping, prima per poter arrivare ad essere delle stelle dello sport e poi per mantenere,se non addirittura superare, il livello raggiunto oppure si è fuori. Non bisogna dimenticare che a quei livelli gli atleti sono sottoposti ad allenamenti stressanti,ad incontri difficili e poi ci si mette anche il pubblico che è sempre più esigente.

Questo accade perché spesso le società trascurano che lo sport è fatto di uomini, ed in quanto umani hanno anche dei limiti. Superata una certa soglia le energie proprie si esauriscono e per questo devono ricorrere all'energia artificiale del doping, di cui vengono esaltate le positive modificazioni a livello fisico e minimizzate quelle negative per la salute.
Se fosse ancora vivo si potrebbe chiedere a Marco Pantani la conferma di quanto appena detto. Prima messo su un piedistallo e poi schiacciato da chi su quel piedistallo lo aveva posto,nascondendosi dietro un dito chiamato doping. Non voglio dire che Pantani era un santo ma di certo non era l'unico a ricorrere a qualche "aiutino" per scalare le montagne sulla sua bicicletta. Per questo sento di concordare con quella parte che ritiene che Pantani abbia pagato per tutti. Definirei queste persone come degli sportivi a metà, in quanto privi dei valori dell'etica sportiva secondo cui tutti gli atleti debbono gareggiare a parità di condizioni rispettando un regolamento,stabilito dalla Federazione Sportiva di appartenenza,liberamente accettato. Tale regolamento comprende anche un elenco delle classi di sostanze dopanti,ovvero quelle che non fanno sentire la fatica; che migliorano i riflessi,la forza e la resistenza; che riducono il dolore,il peso corporeo, l'ansia;che mascherano la presenza nelle urine delle sostanze vietate che sono: stimolanti, narcotici, agenti anabolizzanti, diuretici,ormoni peptidici e affini.

Sono inoltre indicati i metodi proibiti: doping ematico o emotrasfusione, adottato per aumentare la massa dei globuli rossi e quindi la capacità di trasporto dell'ossigeno nel sangue (attualmente in disuso perché soppiantata da altri metodi); manipolazione farmacologia,chimica e fisica delle urine ovvero la procedura che permette di alterare i test antidoping.
Sono indicate infine le cosiddette sostanze soggette a restrizioni d'uso:alcol; marijuana; anestetici locali; corticosteroidi; beta-bloccanti (sostanze che bloccano il tremore e l'ansia).

Per legge un atleta è tenuto a conoscere le sostanze il cui uso gli è proibito dalla Federazione Sportiva cui è affiliato e per le quali potrebbe essere sottoposto ad accertamenti da parte degli organi di controllo,proprio come previsto all'art.6 della legge 14 dicembre 2000 n.376 in cui si afferma "gli atleti aderiscono ai regolamenti e dichiarano la propria conoscenza ed accettazione delle norme in essi contenute",e se violate, e non solo dagli atleti, comportano delle sanzioni.
La casistica giudiziaria però non si esime dal ricordarci il vaticinio che è l'eccezione che conferma la regola,come è avvenuto con una sentenza emessa dalla Cassazione assolvente un "pusher" di nandrolone perché "la legge non punisce lo spaccio del nandrolone nel mercato clandestino delle sostanze dopanti se manca la prova che la vendita è finalizzata ad alterare i risultati delle competizioni agonistiche".
Dopo gli aspetti fisiologici ecco un altro fatto allarmante: lo spaccio clandestino.
Insomma il doping come un circolo vizioso che si vuole interrompere cercando i responsabili ed individuando una soluzione. Molti individuano la soluzione nel riportare l'attività sportiva al suo status di promotrice della salute individuale e collettiva,ma ciò ha l'amaro sapore dell'utopia se pensiamo che il doping ha alle spalle una storia lunga più di due secoli. Sapete a quando risale la prima volta del termine doping in ambito sportivo? Alla fine dell'ottocento per indicare una particolare miscela a base di oppio, narcotici vari e tabacco che veniva somministrata ai cavalli da corsa in Nord America. I nostri atleti del terzo millennio come i cavalli di fine ottocento. NO COMMENT!



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