“Bisogna scegliersi bene i genitori per diventare atleti” è una battuta che gira negli ambienti sportivi e che fa riferimento ai vantaggi fisici che si possono ereditare, “ma non sempre è vera anche per le capacità cognitive ed emozionali che un atleta deve avere e deve allenare”, racconta Francesca Vitali, docente presso il Collegio didattico di Scienze Motorie dell’Università di Verona.
“Non esistono evidenze scientifiche che confermino l’origine genetica delle capacità cognitive ed emozionali, ma esiste un ambiente ideale in cui un atleta può crescere e svilupparsi, un ambiente che è influenzato dagli allenatori e, soprattutto per quanto riguarda gli sportivi più giovani, è determinato anche dal sostegno e dall’educazione dei genitori”.
Come è essenziale per l’atleta possedere quelle qualità fisiche e tecniche che fanno la differenza, così è fondamentale anche la componente mentale o cognitiva per raggiungere prestazioni ottimali.
“La prestazione sportiva di eccellenza, per qualsiasi sport, è il risultato di una serie di ingredienti e quello mentale o cognitivo è sicuramente uno di questi. Per molto tempo gli psicologi dello sport hanno provato a rispondere alla domanda ‘di che cosa ha bisogno uno sportivo per eccellere?’, e la risposta prevede un mix di abilità cognitive ed emozionali, senza le quali uno sportivo difficilmente riesce a esprimere il proprio potenziale”, racconta Francesca Vitali.
“Oltre a queste sei abilità di base, che ciascun atleta dovrebbe avere e può allenare, ce ne sono anche altre, come la comunicazione efficace con gli altri e la leadership. Contano molto anche caratteristiche personali come la capacità di essere resilienti, ovvero vivere le difficoltà come sfide, l’ottimismo e il perfezionismo funzionale. Tutte abilità e caratteristiche che si riscontrano negli atleti vincenti”, precisa Vitali, che continua: “Non esiste, però, un profilo psicologico che distingua un atleta da una persona comune e nemmeno uno che distingua un atleta vincente. Tutti gli sportivi, però, hanno appreso la costanza a cui lo sport abitua, condividono l’idea che il sacrificio non sia una brutta parola e che i risultati si ottengono in anni di lavoro, non in mesi”.
Molte delle federazioni riconosciute dal CONI, che partecipano alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi, si avvalgono della collaborazione con uno psicologo dello sport. Questa figura svolge in genere almeno tre funzioni diverse: lavora con lo staff tecnico e cura la formazione degli allenatori, fornisce supporto psicologico individuale o di gruppo per migliorare le abilità degli atleti e, in casi molto più rari, fornisce supporto clinico (per esempio, quando l’atleta presenta problemi o difficoltà psicologiche che possono anche esulare dall’attività sportiva).
Come esistono metodi e tecniche specifiche per allenare un’abilità fisica, così esistono metodi precisi per allenare le abilità mentali, per esempio per imparare a gestire le emozioni funzionali o disfunzionali che possono insorgere durante le prestazioni. “Quello che un tempo veniva chiamato mental training, oggi si definisce più correttamente psychological skill training, ovvero allenamento delle abilità psicologiche degli atleti. Si tratta, cioè, di un insieme di metodi e tecniche che mettono insieme l’azione motoria a quella psicologica.
Esistono poi vari dispositivi, come il biofeedback per esempio, che possono essere utilizzati per insegnare all’atleta a gestire la propria energia psicofisica in modo consapevole a partire da un segnale oggettivo” spiega Francesca Vitali.
“Con la tecnica del biofeedback, infatti, il battito cardiaco, la frequenza respiratoria o la tensione muscolare sono tradotti in segnali visivi o sonori. L’atleta visualizza un dato su uno schermo, per esempio, e apprende ad associarlo a un determinato stato psicofisico. Lo psicologo dello sport con questo strumento può lavorare sulla consapevolezza dell’atleta e aiutarlo ad arrivare alla gara nella condizione di attivazione ottimale”.
Un altro approccio usato dagli psicologi dello sport è quello della mindfulness, che ha origini orientali. Lo psicologo dello sport guida l’atleta al raggiungimento della consapevolezza di sé anche attraverso la consapevolezza del proprio corpo (caratteristica molto accentuata negli sportivi) per aiutarlo ad avere un atteggiamento di accettazione non giudicante della situazione e un atteggiamento più funzionale alle performance di alto livello.
“In generale – conclude Vitali – l’attività sportiva dovrebbe risultare un’esperienza piacevole e divertente e dovrebbe fare rima con benessere e salute. Questo è molto importante soprattutto quando gli atleti sono giovani. In questo caso, gli adulti (in primis, allenatori e genitori) dovrebbero fare dello sport un contesto educativo, trovando un buon equilibrio tra caratteristiche psicofisiche (per esempio, età e genere) e psicologiche, e lavorare per costruire solide basi per vivere in maniera sana e divertente l’attività sportiva”.
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