Lo studio sociologico dello sport
Nell'ambito del loisir, lo sport ha sempre avuto una notevole importanza; si è inteso porre all'attenzione di uno studio, una maggior enfasi sul ruolo del calcio, che ancora oggi non trova uno specifico spazio nell'ambito delle scienze sociali.
Come affermato da Sleap1, la conseguenza del limitato e scarso volume di seri scritti e studi dedicati all'indagine sugli sport è un buco sempre più cospicuo all'interno delle teorie sulle organizzazioni sociali. Ed ancora nei suoi scritti, si legge la volontà di chiedere agli studi sociologici maggiori sforzi che comprendano le preoccupazioni, le descrizioni e, se possibile, le spiegazioni delle correlazioni tra sport ed altre componenti sociali. Il cammino della sociologia rivolta allo sport, continua il pensiero di Sleap, dovrà però essere distinto dalla psicologia, focalizzando le funzioni sportive le dovrà affrontare come componenti di una organizzazione sociale.
In questa sede si cercherà di dimostrare l'importanza ricoperta dall'attività sportiva nella nostra società e quindi la sua rilevanza all'interno delle scienze sociali.
La storia stessa della sociologia, infatti, ci insegna come le manifestazioni apparentemente eccentriche e marginali, anche se parte della vita quotidiana, posseggano una straordinaria capacità di portare alla luce la trama sottesa alle relazioni tra gli uomini. Questo vale soprattutto per un'attività diffusa e fortemente strutturata come lo sport, che coinvolge, a differenti livelli di fruizione e di pratica, la maggior parte dei cittadini2.
Lo sport rappresenta una delle attività umane più praticate, infatti, sia a livello professionistico che amatoriale, milioni di persone partecipano alle diverse forme di attività sportive esistenti. È un fenomeno capace di aggregare gli individui nell'ambito di "Associazioni" e "Organizzazioni" e di avvicinare culture, razze e nazionalità diverse. La funzione sociale dello sport è stata sottolineata anche nelle conclusioni del Consiglio europeo di Vienna dell'11 e 12 dicembre 1998. In vista del vertice di Helsinki, infatti, la Commissione è stata invitata a presentare al Consiglio, una relazione con l'obiettivo di salvaguardare le strutture sportive attuali e la funzione sociale dello sport nella Comunità.
Oltre le dimensioni strettamente economiche, è importante sottolineare come lo sport sia oggetto interessante nell'ambito di un'analisi sociologica, per capire come venga utilizzato il tempo libero in questa società occidentale di tarda modernità tendente ad una forma di espansione della dimensione lavorativa.
Il ritardo mostrato dalle scienze sociali in merito alla questione del loisir, potrebbe sembrare contraddittorio rispetto alle posizioni di Weber (1922)3, per il quale ogni avanzamento nel campo delle scienze sociali è sempre connesso con l'emergere di pratiche culturali, come concreti problemi sociali, e lo sport è comunque da ritenersi pratica culturale.
Molti sarebbero i contributi che uno studio più attento sul calcio o sullo sport in generale potrebbe fornire. Sicuramente uno degli aspetti sociologicamente più importanti, e quindi da approfondire, è rappresentato dal fatto che le opportunità date dalla pratica sportiva non sono ancora equamente distribuite fra i gruppi, i ceti e le classi sociali; tanto da poter rappresentare, la pratica sportiva e l'uso del tempo libero, un ottimo sensore per analizzare il sistema delle disuguaglianze all'interno della società moderna.
La mancanza di uno studio sociologico è da ricercare sicuramente nella genesi della disciplina che nasce come scienza della società industriale, che per collocarsi nell'ambito delle scienze ha dovuto focalizzare l'oggetto delle sue analisi; rimanendo pertanto per lungo tempo inserita in specifiche coordinate che hanno rappresentato quel limite che la sociologia di tarda modernità, tende a superare attraverso una sorta di rinnovamento delle cassette degli attrezzi, che consiste in una ridefinizione paradigmatica che porta ad "arare" nuovi campi operativi mediante una logica di indagine scientifica, rigorosa e puntuale che conduce a "capire attraverso specifiche correlazioni e sussunzioni di fatti e teorie, secondo i canoni della ricorsività e della tipizzazione nomologica"4. È bene non trascurare però le acute analisi di Thorstein Veblen, che nel XIX secolo con una geniale intuizione, definiva la nuova classe dominante "leisure class", definendo lo sport del Novecento, non solo come una rielaborazione nello stile di specifici stili di vita delle nuove borghesie urbane, dall'istinto predatorio tipico della vecchia aristocrazia, ma come dimensione culturale5.
I maggiori contributi allo studio dello sport arrivano da Norbert Elias e dal suo autorevole allievo, l'inglese Dunning6, i primi a offrirci finalmente un'analisi organica e scientificamente valida. Essi rintracciano nella sportivizzazione delle moderne società di massa, un percorso privilegiato della civilizzazione occidentale, riconducendo la ricerca storico-sociale sullo sport e sulle pratiche del loisir, all'interno di una possibile teoria delle emozioni.
La loro idea, anche se molto articolata, nasce da un concetto base molto semplice, legato alla rappresentazione della civilizzazione della fine dell'età medievale, alla costituzione delle grandi monarchie nazionali e delle prime società urbane mature.
Nel processo di civilizzazione, lo sport diventa il laboratorio naturale entro cui osservare l'evolvere dei rapporti sociali nel mutevole equilibrio tra competizione-cooperazione, conflitto-armonia, eccitamento e controllo di sé. I due autori associano quindi la civilizzazione a due processi complementari e di uguale rilevanza. Il primo, si riferisce all'originarsi nella sfera della socializzazione di tratti della personalità individuale coerenti con il nuovo modello di società, ispirati cioè al rigido controllo delle emozioni. Il secondo è riferito a quel complesso processo istituzionale che sfocerà gradualmente nel trasferimento allo Stato del "monopolio della violenza legalizzata".
La "teoria figurazionale" di Elias e Dunning è utile per spiegare come la sportivizzazione (intesa come metamorfosi del loisir aristocratico in pratiche di competizioni rette da regole) e la differenziazione funzionale delle discipline di squadra, presentino un'esplicita connessione con l'interiorizzazione diffusa delle norme sociali, ma anche con quei tipici sviluppi istituzionali della modernità identificabili con la nazionalizzazione e la parlamentarizzazione della vita politica. L'imponente dinamica di regolazione presenta ricadute significative nella struttura del reticolo sociale. La nascita dei partiti parlamentari di massa, nella prospettiva tracciata da Elias e dai suoi epigoni della scuola di Leicester, procedeva in parallelo con la formazione di una fitta rete di associazioni sportive a base volontaria che si ispiravano al modello del club amatoriale britannico. Questa estensione del paradigma è però contestabile, perché colpevole di assumere la tendenza anglocentrica come potenzialmente universale7.
Meno interessati a ripercorrere il percorso storico del sistema sportivo, i discepoli di Elias e Dunning spostavano l'attenzione sui punti terminali del processo, consentendo alla ricerca di compiere un gran passo in avanti. Ad esempio, Grant Jarvie e Joseph Maguire8, rifacendosi a Giddens e alle conseguenze della modernità, ponevano come centrale il tema della globalizzazione. Fenomeno che con l'ascesa dello sport spettacolo a manifestazione principale nella società dei media, acquista la stessa rilevanza che i teorici figurazionali avevano attribuito al nesso sportivizzazione-civilizzazione occidentale.
Chiamando in causa la comunicazione tra culture sociali e nazionali diverse, attorno allo "sport spettacolare di alta prestazione", sin dalla grande guerra, si viene compiutamente elaborando l'idioma globale della società di massa9. "Lo sport-idioma è propriamente un mix straordinario di comunicazione verbale e non verbale, di gerghi tecnici universali, di suggestioni emozionali, di evocazioni simboliche di tipo identitario. Linguaggi comunicativi attraversati da allusioni, richiami, messaggi impliciti ed espliciti, vengono globalizzati proprio perché capaci di stimolare contemporaneamente natura e cultura. Elaborate appartenenze identitarie (si pensi al sentimento nazionale) si mescolano con l'allusione erotica, sempre sottesa all'esibizione del corpo. La comunicazione sportiva si dilata dall'opinione pubblica degli esperti alla chiacchiera quotidiana di centinaia di milioni di tifosi".
La mescolanza di culture diverse all'interno del mondo sportivo di competizione, ci spiega anche, oltre al perché dei tanti interessi economici che girano attorno ad esso, il motivo per cui con la globalizzazione, sia aumentato l'interesse di determinati attori sociali, politici ed economici a controllare il sistema sportivo.
L'analisi figurazionale, meritevole di essere stata la prima scuola di ricerca ad infrangere la cortina d'indifferenza eretta attorno allo sport come problema e come opportunità euristica per le scienze sociali, è però criticabile per non aver colto quella complessità e quella dialettica tipica dello sport moderno; concentrandosi forse troppo su un percorso intellettuale che procedeva per schemi generali: con la civilizzazione (Elias e Dunning) prima e con la globalizzazione (Jarvie e Maguire) poi. L'analisi figurazionale ha forse sbagliato nel tentativo di comprimere in essa tutta la varietà del fenomeno, che per la sua complessità di regole e di simboli, non è riconducibile a letture conclusive.
Oltre a quelli già citati, anche altri critici come ad esempio Veblen (1899) o Ortega e Gasset (1957), cercheranno purtroppo di circoscrivere e di banalizzare la questione dello sport moderno, a loro avviso colpevole, di tradire quell'ideale olimpico fondato sul primato della partecipazione amatoriale; il primo definendolo come un fenomeno nato per la sopravvivenza dell'istinto tipico della vecchia aristocrazia feudale, il secondo semplificando il fenomeno a puro bisogno dell'uomo di massa. Questo filone di critici con una visione così negativa dello sport moderno, continuerà anche negli anni sessanta e settanta con studiosi come Vinnai e Laguillaumie , i quali vedevano lo sport come metafora della mercificazione della società tardo-capitalista con la sua vocazione alla disciplina ed alla gerarchizzazione. Questi studiosi di ispirazione "apocalittica", pur sollevando argomenti fondati e preoccupanti, sono stati incapaci di cogliere la vera dimensione del fenomeno, riflettendo così i difetti ed i limiti delle scienze sociali a misurarsi con una questione, come quella dello sport, che nel breve spazio di un secolo ha conosciuto rapidi cambiamenti.
Altri, però, affrontando l'argomento con una visione più propriamente sociologica e sicuramente meno ideologica, hanno studiato il fenomeno consegnandoci sicuramente risvolti più interessanti. Come Edgar Morin, teorico della nuova società della comunicazione e dei consumi culturali di massa, che vedeva nelle attività sportive l'espressione più coerente della mutazione antropologica del sistema sociale. Ed ancora, il sociologo Pierre Bourdieu che nel suo studio sulla "distinzione" (1979), individuava in alcune determinate specialità sportive (come il golf e l'equitazione) una affannosa ricerca di mobilità ascensionale individuale dovuta all'impronta di status che queste pratiche erano in grado di dare.
Finalmente, verso la fine degli anni settanta, giungeva un contributo teorico di grande rilievo, grazie al sociologo Allen Guttmann, che, insieme alla sociologia figurazionale, darà finalmente dignità sociologica alla ricerca sullo sport. Affrontando la sportivizzazione come una dinamica sociale nel quadro della teoria weberiana della modernizzazione e della "scientificazione del mondo", la teoria di Guttmann poneva lo sport moderno come derivazione fra il gioco spontaneo (play) e la pratica retta da regole (game).
Lo studio dello sport ci dà la possibilità di approfondire quelli che sono i diversi risvolti della modernità, perché ne è metafora: con il suo principio industrialistico della specializzazione, con la molteplicità delle sue pratiche agonistiche che riflettono la cultura sociale ispirata alla divisione del lavoro; sport e industrialismo sono legati anche dalla nuova ideologia della quantificazione della prestazione e del record (assolutamente assente nello sport classico), entrambi ossessivamente governati dall' imperativo di misurare e rendere tangibile il prodotto.
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*Sociologo e mediatore sportivo
NOTE
1) Sleap M., Social Issue in Sport, St. Martin's Press, New York, 1998.
2) Porro N., La Sociologia, lo Sport, il Loisir, op. cit.. De Nardis P., Le Nuove Frontiere della Sociologia, Carocci, Roma 1999.
3) Weber M., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftlehre, Mohr, Tübingen, 1922, (trad. It.. Il Metodo delle Scienze Storico-Sociali, Einaudi, Torino, 1958).
4) De Nardis P., Sociologia del Limite, Meltemi, Roma, 1999, p.154.
5) Veblen Th., La Teoria della Classe Agiata, Utet, Torino 1969.
6) Elias N. Dunning E., Sport e Aggressività, Il Mulino, Bologna, 1989.
7) Nicola Porro, La Sociologia, lo Sport, il Loisir, op. cit.. De Nardis P., Le Nuove Frontiere della Sociologia, Carocci, Roma 1999.
8) Jarvie G., Maguire J., Sport and Leisure in Social Thought, Routledge, London-New York., 1994.
9) Veblen Th.., La Teoria della Classe Agiata, Utet, Torino, 1969.
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