La dimensione sociale e civile dello sport
Nel grande mondo del tempo libero lo sport sta assumendo una rilevanza sempre più marcata. Considerato per anni l’ingrediente che addolciva o avvelenava il caffè del lunedì mattina al bar, affidato alla benevolenza, quando non era pietà o compassione, del volontariato che organizzava lo sport amatoriale, il mondo sportivo sta rivelando dimensioni inattese che, in un modo o nell’altro, coinvolgono tutti.
Il mondo dello sport e il suo indotto stanno occupando professionalmente un trentesimo della forza lavoro italiana e costituiscono più del 3% del prodotto interno lordo. Non è più un fenomeno marginale del nostro vivere, popolato da perditempo. Sta diventando una cartina di tornasole del futuro che ci attende.
Lo sport non vive da solo, ma innerva tutta la società. Possiamo ricostruire la storia delle vicende sportive italiane dall’unità sino ai nostri giorni. Questo viaggio nel tempo può essere articolato in diversi momenti: a) la fase d’importazione di modelli (da Germania, Inghilterra e Francia) e dell’elaborazione di un paradigma nazionale italiano (1861-1900); b) la fase delle dispute ideologiche (1900-1915); la fase della piena integrazione nella vita istituzionale e sociale del Paese (1918-1940); c) la fase del rilancio e dell’esplosione (1945-1975); d) la fase attuale, dove lo sport si interseca fortemente con il business.
a) L’importazione di modelli stranieri e l’elaborazione di una realtà sportiva nazionale (1861-1900)
Lo sviluppo della pratica agonistica in Italia segue lo stesso processo di nascita e di crescita della giovane nazione: dopo aver assunto alcuni paradigmi stranieri, si elaborano modelli propri e originali. Tutti gli esordi sono sempre all’insegna dell’imitazione. Il modello tedesco, espressione del nazionalismo, spinge a introdurre la ginnastica e il tiro a segno; il modello inglese, manifestazione dell’industrializzazione, propone la pratica del calcio e del tennis; il modello francese, ispirato alla modernizzazione, ci aiuta a scoprire il fascino delle corse ciclistiche e automobilistiche.
La prima società sportiva nasce a Torino nel 1844, al punto che alcuni parlano addirittura di “piemontesizzazione” dello sport. In questa prima fase appare determinante il ruolo dell’associazionismo ginnastico, che costituisce il punto di riferimento per l’affermazione e la proliferazione di altre discipline agonistiche. Verso il 1870, accanto alle tradizionali sezioni di ginnastica e di scherma, si inaugurano sezioni di velocipedismo, di canottaggio, di escursionismo, di alpinismo, di calcio e di nuoto.
Le società ginnastiche si basano su alcuni elementi tipici della nostra evoluzione sociale, dominata dal nazionalismo e dal militarismo. I membri promotori e fondatori di queste associazioni provengono generalmente dalla nobiltà, dalle forze armate e dalle libere professioni. Numerosi illustri propugnatori del movimento ginnastico si distinguono in prima linea nelle guerre di indipendenza.
Anche i grandi padri del nostro Risorgimento si ispirano volentieri allo sport. Carlo Pisacane sosteneva che ginnastica, tiro a segno e scherma rappresentano i tre cardini del cittadino-soldato. Garibaldi, a partire dal 1861, tiene a battesimo molte società di tiro a segno in tutta la penisola.
Dopo le società appaiono le federazioni, a cominciare dalla Federazione Ginnastica Italiana, fondata nel 1869 a Venezia. Ma è subito polemica. Al suo interno infatti si scontrano due tendenze, la scuola torinese di Obermann, favorevole a una concezione militare, e la scuola bolognese di Baumann, di ispirazione più pedagogica. La polemica da origine a due federazioni, che si ricompongono nel 1888 sotto il nome di Federazione Ginnastica Nazionale che, all’articolo 1, dichiara la completa neutralità politica e religiosa dello sport. Nel 1878 il Parlamento approva la legge De Sanctis che sancisce l’ingresso dell’educazione fisica nella scuola italiana.
Il movimento sportivo italiano, nato come attività di élite, comincia a estendersi. Nel 1901 l’attività ginnica conta 104 società, con un totale di 13.475 ginnasti. L’Italia si colloca così al sesto posto in Europa, dopo Germania, Cecoslovacchia, Francia, Svizzera e Belgio.
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