Alle Olimpiadi invernali di Lake Placid, nel 1980, lo svedese Thomas Wassberg e il finlandese Juha Mieto completarono la 15 km di fondo staccati di 1 centesimo di secondo, pari a 59 millimetri di distanza l’uno dall’altro. Wassberg dichiarò che avrebbe voluto dividere la medaglia d’oro col rivale e si tramandò la leggenda che la fece tagliare in due.
Anche se ciò non accadde, la Federazione Internazionale Sci stabilì che da allora in poi per decidere il vincitore della disciplina si sarebbero dovuti usare i decimi di secondo.
“Elemento fondamentale di una gara, oltre agli atleti e al luogo in cui si svolge, è la squadra dei cronometristi”, spiega Alain Zobrist, amministratore delegato di Omega Timing, la società del marchio svizzero che dal 1932 effettua la misurazione temporale delle performance olimpiche.
“Il team è costituito soprattutto da ingegneri che hanno la funzione di proteggere gli atleti da possibili errori di giudizio e sono coadiuvati da un equipaggiamento tecnologico in costante evoluzione”.
Alle Olimpiadi di Pechino, iniziati il 4 febbraio, l’azienda introdurrà per la prima volta un sistema di tracking computerizzato in grado di identificare una falsa partenza meglio di quanto possa fare l’occhio umano.
Un bigliettino nella tasca
Gli algoritmi di computer vision sono solo la più recente conquista in 90 anni di storia, avviata con una tecnologia ieri straordinaria ma che oggi è alla portata di chiunque: “In origine Omega fu scelta dal CIO perché aveva i cronografi più precisi nel misurare il tempo fino al decimo di secondo”, dice Zobrist. “All’epoca e finché non è arrivata l’elettronica il tecnico doveva rilevare correttamente partenze e arrivi”, spiega Giuliano Menestrina, da più di trent’anni membro della Federazione Italiana Cronometristi, che a novembre scorso ha festeggiato 100 anni dalla fondazione ed è stata impegnata nelle Olimpiadi di Cortina del 1956.
“Questo dava molto risalto alla capacità di avere un occhio attento e tempi di reazione precisi rispetto ai gesti degli atleti”.
Per risolvere cose che oggi sembrano banali, come stabilire i tempi di una gara di sci alpino – ad esempio a Garmisch nel 1936 – i cronometristi dovettero ingegnarsi: quello a monte scriveva l’orario di partenza di un atleta su un biglietto, che mandava a valle nella tasca dei pantaloni del concorrente successivo, e il suo collega a valle che aveva registrato l’orario di arrivo, comparava i due tempi per calcolare il risultato.
“Poi a rendere tutto più semplice è stata l’elettronica”, continua Zobrist. “Nel 1948 a St. Moritz è arrivata la cellula fotoelettrica, che permetteva di fermare il tempo automaticamente al passaggio del traguardo, nel 1956 i cancelletti alla partenza sincronizzati con i tempi, e così via”.
La pistola elettronica
A volte le innovazioni hanno riguardato vere sottigliezze, come la pistola dello starter che a Vancouver 2010 è diventata elettronica, per far coincidere bagliore di luce, suono emesso da altoparlanti e attivazione del cronometro, e non favorire più chi si sentiva per primo lo sparo perché più vicino alla tradizionale rivoltella; o come il sistema usato a Sochi 2015 dagli arbitri di hockey per sincronizzare il fischio al cronometraggio, risparmiando così quell’intervallo di tempo, pari a circa mezzo secondo, perso a ogni fischio a causa dei tempi di reazione umani.
“Una volta assolto il compito principale di aiutare i giudici, man mano che passavano gli anni siamo stati in grado di reperire talmente tanti dati che abbiamo potuto fornirli ai media e al pubblico”., dice ancora Zobrist.
Ad esempio, fino alle Olimpiadi di Innsbruck del 1964, il tempo in sovrimpressione in Tv non esisteva, “mentre oggi, grazie all’utilizzo di sensori applicati sulle tute, come nel 2018 a Pyeongchang, possiamo fornire statistiche in tempo reale che spiegano dove si vince o perde una gara: sono utili anche agli stessi atleti e agli allenatori”.
“Per fare questo lavoro (che nel caso della Ficr non è pagato, ndr) ci vuole passione e preparazione”, aggiunge Menestrina. “Superato un corso sui regolamenti delle discipline, si fa apprendistato sul campo e infine si dà un esame in cui bisogna dimostrare di conoscere le regole e le attrezzature da utilizzare.
L’elettronica aiuta ma è diventata talmente complessa che è necessario padroneggiarne le funzioni”.
Questioni di disciplina
In alcuni casi, senza tecnologia sarebbe stato impossibile assegnare con certezza le medaglie. Come per lo slalom speciale maschile a Grenoble 1968 quando, a causa della nebbia che impediva una chiara visibilità, ben undici atleti si classificarono nell’arco di un secondo; o come per i mille metri di pattinaggio di velocità maschile ad Albertville 1992, dove tra primo e secondo e fra terzo e quarto fu registrato un solo centesimo di differenza grazie allo Scan ’O’ Vision, un fotofinish avanzato in grado di calcolare i millesimi.
“Ogni disciplina ha regole diverse quanto ai tempi”, spiega Menestrina. “Nello sci alpino il distacco si misura in centesimi, mentre per bob e slittino si arriva ai millesimi”.
Ormai i nostri apparecchi sono in grado di calcolare differenze di tempi dell’ordine di un milionesimo di secondo”, dice Zobrist, “ma sono tarati in base alle regole della Federazione”.
Al di là degli avanzamenti tecnologici, come l’intelligenza artificiale introdotta ora a Pechino, “ci sarà però sempre bisogno dell’apporto umano”. In caso di fallimento estremo degli apparati elettronici (previsti anche in tre o quattro copie a seconda della disciplina), ancora oggi è prevista l’attività di un uomo. Che, come 90 anni fa, impugnando un cronometro, vede l’atleta tagliare il traguardo.
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