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Deducibili dal reddito di impresa i costi di sponsorizzazione inerenti, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, all’attività stessa. Il concetto di inerenza deve essere correlato. Infatti, a un giudizio di carattere qualitativo, con conseguente esclusione di ogni valutazione in termini di utilità, vantaggio, potenziale incremento per l’attività imprenditoriale medesima. E’ quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 11324/2022 depositata lo scorso 7 aprile.
Il giudizio trae origine da un avviso di accertamento, relativo all’anno 2010, notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società, con il quale l’ufficio aveva disconosciuto la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e la non detraibilità ai fini Iva in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Inoltre, per quanto qui interessa, aveva affermato la non inerenza dei costi di pubblicità sostenuti. La società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo aveva accolto limitatamente alla ripresa relativa alle operazioni soggettivamente inesistenti, mentre aveva ritenuto legittima la ripresa relativamente ai costi di pubblicità.
Avverso tale pronuncia la società aveva proposto appello incidentale relativamente alla statuizione concernente la non inerenza dei costi di pubblicità sostenuti. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello principale dell’ufficio e accoglieva quello incidentale della società, in particolare, ritenendo che la stessa avesse fornito la prova dell’inerenza dei costi di pubblicità.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, per avere il giudice di secondo grado erroneamente ritenuto che le spese di pubblicità sostenute dalla contribuente fossero inerenti. Le spese oggetto di contestazione erano relative all’utilizzo, da parte di un pilota di kart impegnato in gare sportive a livello internazionale, del semplice logo della società, senza alcun concreto riferimento ai prodotti fabbricati.
A detta dell’ufficio, infatti, da tale mancanza di indicazione conseguiva che tali spese non avessero alcuna correlazione o finalità di miglioramento dell’immagine dell’impresa, senza contare che la contribuente non aveva dato alcuna dimostrazione di quale fosse l’effettivo ritorno in termini di potenziamento del fatturato conseguente alla sponsorizzazione.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha giudicato infondato tale motivo, richiamando quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità relativamente alla verifica del requisito dell’inerenza dei costi sostenuti.
Gli Ermellini, dopo aver precisato che i contratti di sponsorizzazione ricomprendono tutte quelle ipotesi in cui un soggetto si obbliga, verso corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto marchiato, hanno superato il precedente orientamento dell’inerenza quantitativa, secondo cui un costo risulterebbe deducibile qualora apporti un concreto vantaggio all’operatore economico, misurabile in termini di allargamento della clientela o di incremento dei volumi di fatturato.
La sezione tributaria ha precisato che la questione della diretta aspettativa di un ritorno commerciale per il soggetto che sostiene le spese riguarda il differente quesito concernente l’individuazione della natura, di rappresentanza o di pubblicità, delle spese. Nel caso di specie, il motivo del ricorso era unicamente quello della non inerenza e non della diversa natura delle spese sostenute.
Sul punto, la Cassazione ha evidenziato come risulti ormai superata la nozione fiscale di inerenza correlata ad una valutazione in termini di utilità o congruità della spesa.
E’, difatti, ravvisabile un’evoluzione del concetto di inerenza che deve essere apprezzato attraverso un giudizio qualitativo e non solamente quantitativo, dunque, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio.
Ne deriva che i costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito d’impresa ove risultino inerenti all’attività stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, dovendosi escludere ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio, potenziale incremento per l’attività imprenditoriale medesima.
Invero, per essere reputato inerente e, quindi, deducibile è sufficiente che il costo sia correlato all’attività esercitata sul piano fattuale dal contribuente, essendo coerente a essa.
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