L'Italia è, tra i Paesi più
evoluti in termini calcistici, la Nazione che ha la capacità di
assorbimento del mercato più bassa, ossia scarsità di servizi e stadi
sovradimensionati rispetto al pubblico cui si rivolge.
L'epoca di
costruzione del 33% degli impianti di A e B è compresa tra il 1920 e il
1937; un 27% è stato realizzato tra il 1950 e il 1970 e il restante 33%
tra il 1972 e il 1990, anno dell'edizione italiana dei Mondiali di calcio.
Solo gli stadi di Padova e Reggio Emilia, le cui squadre militano in serie
C, sono di recentissima costruzione.
Tale dato è significativo della
situazione strutturale degli stadi nel nostro paese nonché della necessità
di notevoli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il 50%
degli impianti di serie A e B è dotato di piste di atletica leggera e, per
quasi l'80% di essi, la pista viene utilizzata solo in rarissime occasioni
e con scarsa presenza di pubblico, con l'evidente conseguenza che solo in
pochi casi l'abbinamento pista di atletica/stadio rappresenta una giusta
scelta progettuale e gestionale.
Il 50% degli edifici è ubicato in zone ad
elevata densità abitativa delle città e solo il 30% è dotato di spazi
sottotribuna utilizzati per uffici o strutture sportive.
La gestione dello
stadio è, spesso, praticamente assente: lo stadio viene vissuto per appena
70 ore l'anno, e questo comporta per le società " […] maggiori costi
(spese di gestione, canone di locazione, costi di complessità, ecc.) e
minori ricavi (impossibilità di una profittevole gestione degli spazi
interni ed esterni all'impianto), non coerenti con logiche economico
aziendali od imprenditoriali"1.
Gli stadi da sempre rappresentano un costo
non indifferente nella gestione finanziaria di un club, a causa dei canoni
di locazione cui spesso si sommano sia le spese di manutenzione che i
mancati guadagni derivanti dalla non-gestione diretta della pubblicità.
La
capienza media degli impianti italiani è troppo elevata per soddisfare le
esigenze di un club incline ad attuare una strategia tesa alla
diversificazione dei ricavi.
In occasione dei Mondiali di calcio del 1990,
molti dei più importanti stadi italiani sono stati profondamente
ristrutturati ovvero costruiti ex-novo: il nostro Paese ha perso
un'opportunità storica, non riuscendo a sfruttare un'occasione ideale per
creare impianti con caratteristiche tali da far incrementare sensibilmente
il livello dei ricavi delle società.
Altro grave problema la sicurezza:
nel nostro Paese la quasi totalità delle strutture della massima serie non
registra da anni lavori di restauro e adattamento alle nuove norme di
sicurezza. Il "Renato Curi" di Perugia non subiva interventi da circa 20
anni (il presidente Gaucci, nel 2002, aveva minacciato il Comune di andare
a giocare a Firenze se non ci fossero stati interventi di rinnovamento,
portati a termine, comunque, all'inizio dell'attuale stagione).
La
direttiva europea 57/92 in materia di sicurezza, aveva già evidenziato,
più di dieci anni fa, il ruolo del soggetto organizzatore o meglio del
titolare dell'attività, delegandolo quale responsabile della sicurezza.
Tale indicazione dell'Unione Europea, pur recepita dalla legislazione
nazionale, è stata disattesa nella realtà dagli stadi italiani, progettati
e realizzati senza programmi di gestione e senza mai interpellare le
società sportive.
I dati sono allarmanti: " […] il 19% degli stadi dalla A
alla C risulta agibile salvo delega; il 38% agibile con prescrizione; solo
il 43% è in regola. […]
Mancano recinti, divisori, un rifacimento dei
sistemi di accesso a spalti e campo, un'area di pronto soccorso, senza
dimenticare le vie di fuga non sempre rispettate per i disabili.Una
situazione insostenibile, concausa dell'aumento degli episodi di violenza
e di teppismo: in totale + 260% nella stagione 2001/2002, soprattutto
nelle serie inferiori"2.
Tutte le proprietà degli impianti di serie A e B
sono dei rispettivi Comuni (pratica che risale al periodo fascista e che
il legislatore, fin dal 1977, ha individuato quale organo costituzionale
principe a cui demandare la gestione dell'impiantistica sportiva sita sul
territorio da esso amministrato), eccetto lo stadio Olimpico, di proprietà
del CONI, e il "Giglio", di proprietà della A.C. Reggiana. Tale situazione
è, tuttavia, un'anomalia che si riscontra solo in Italia, se si considera
che in Premier League 20 club su 20 sono proprietari dello stadio in cui
giocano e nella Liga spagnola 7 su 20.
La tipologia di gestione più
diffusa è la gestione in concessione che si ha quando l'ente pubblico
affida a terzi la gestione di uno o più servizi, attraverso la definizione
di un contratto e riservandosi il potere di indirizzo e controllo sui
risultati raggiunti.
La mancanza di investimenti in infrastrutture e
servizi, di una visione di lungo periodo e di un management in grado di
comprendere con acutezza tale situazione, hanno comportato una gestione
fallimentare degli stadi di calcio italiani protrattasi per anni,
divenendo, senza dubbio, una delle principali cause del vistoso calo di
spettatori riscontrato in Italia nell'ultimo decennio anche se molti
addossano ancora alla televisione il ruolo di killer della presenza di
spettatori live.
Ancora più negativi i dati italiani se, invece delle
presenze medie, si analizzano l'indice di riempimento dello stadio, dove
l'Italia risulta all'ultimo posto.
Questi dati sono molto esemplificativi
del problema degli stadi e della loro gestione in Italia: a fronte di
impianti moderni e gestiti direttamente dalle società ad esclusivo
interesse del tifoso/cliente, propri del modello inglese, i nostri club
contrappongono strutture dagli altissimi costi di gestione, spesso vuote e
non adatte ad essere gestite in maniera privata e manageriale.
I vincoli
urbanistici di molti impianti ne impediscono l'impiego a tempo pieno;
esistono poi delle difficoltà di intervento da parte delle società
sportive a dare precise garanzie per ottenere finanziamenti agevolati da
parte del Credito Sportivo, in quanto lo stadio non è un bene
commerciabile, per l'univocità del rapporto di concessione. Le garanzie,
in questo caso, potrebbero basarsi sul valore degli interventi progettati
e prospettati, in quanto si tratterebbe di interventi produttivi. In tal
senso il CONI potrebbe collaborare nella pianificazione e nella
programmazione degli interventi, divenendo il link istituzionale in grado
di far interagire in modo profittevole club, FIGC, amministrazioni
comunali e le altre discipline sportive eventualmente presenti negli
stadi.