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Cassazione Sez. lavoro
Sentenza: 8 gennaio 2003, n. 85

Calciatori e infortuni
Caso: Filippo Rotolo contro la
spa Calcio Novara e Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia spa

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce falsa applicazione degli articoli 2043 e 2087 c.c. nonché mancanza e/o manifesta illogicità delle motivazioni su un punto decisivo della controversia. In particolare deduce che il Rotolo era stato curato ed assistito sino al luglio 1988 da soggetti estranei ad essa società ricorrente e nessuno di tali soggetti aveva evidenziato che il calciatore non era idoneo all'attività sportiva e che, dunque, non poteva giocare. Inoltre il Rotolo era stato sottoposto a visita medica dall'Istituto di medicina dello sport Anna Maria di Giorgio di Torino (uno degli istituti deputati ai sensi dell'articolo 5 del decreto ministeriale 18 febbraio 1982 al rilascio del certificato di idoneità all'attività sportiva agonistica), riconosciuto dal Coni-Fmsi. La visita era stata effettuata il 14 luglio del 1988 ed il ritiro dei giocatori era iniziato il 22 luglio, dopo che si era appreso, quindi, da un istituto altamente qualificato che il Rotolo era un giocatore idoneo alla attività agonistica.

Il tribunale aveva inoltre errato nel disattendere il ben motivato ed autorevole giudizio medico fornito dal summenzionato Istituto di medicina dello sport e nel basarsi, di contro, sul parere del consulente di parte, professor Baima Bollone, che aveva visitato il calciatore soltanto in epoca successiva ed in un contesto diverso da quello per cui è causa ed in cui ben potevano essersi aggravate le iniziali condizioni sanitarie dell'atleta. Non poteva inoltre condividersi né l'assunto della sentenza impugnata nella parte in cui aveva addebitato al club calcistico di non avere messo a disposizione dell'istituto medico tutta la documentazione relativa alle fratture ed agli interventi subiti dall'atleta, impedendo in tal modo l'effettuazione di una visita accurata, né ancora l'ulteriore affermazione secondo cui la spa Novara calcio avrebbe dovuto prevedere il verificarsi della frattura in quanto neppure la presenza di una rondella nell'arto del calciatore - costituente un postumo della subita operazione chirurgica - poteva giustificare detta previsione.
Per concludere, non sussisteva alcun nesso di causalità tra il comportamento tenuto dalla società Novara calcio e l'infortunio subito dal Rotolo e pertanto non poteva ravvisarsi alcuna violazione dell'articolo 2987 c.c.


1.1. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato.
Ai fini di un ordinato iter motivazionale appaiano opportune alcune precisazioni intorno alla individuazione degli obblighi incombenti sulle società calcistiche a livello professionistico a tutela della salute dei propri atleti, ad esse vincolati da un rapporto di lavoro subordinato.

L'acquisita consapevolezza che nell'esercizio dell'attività sportiva a livello professionistico l'integrità psico-fisica dell'atleta costituisce elemento predominante per il successo nelle competizioni ha portato negli ultimi anni le società calcistiche professionistiche, che stipulano contratti con atleti alla stregua dell'articolo 10 della legge 91/1981, ad inserire nel proprio organico un sempre maggiore numero di persone (massaggiatore, medico sociale e, almeno per i grossi club, anche psicologo dello sport, specialista nell'alimentazione, ecc.) addette tutte, pur con diversi compiti e con distinte professionalità, a tutelare la salute degli atleti, sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli alla loro integrità psico-fisica sia attraverso la cura dei non infrequenti infortuni e delle malattie, che trovano sovente causa nei rilevanti sforzi caratterizzanti il gioco del calcio.

Al riguardo è opportuno ricordare come la dottrina specialistica ed anche la giurisprudenza a fronte di eventi, anche drammatici, subiti dagli atleti in occasione di competizioni sportive e per effetto di non diagnosticate anomalie fisiche, abbiano sovente fatto riferimento per l'individuazione di condotte imprudenti o negligenti ai criteri generali fissati in relazione all'esercizio della professione sanitaria (cfr. segnatamente per quanto riguarda l'individuazione di condotte penalmente sanzionabili nell'esercizio dell'attività calcistica: Cassazione penale, sezione quarta, 9 giugno 1981 relativa alla morte del calciatore Curi del Perugia), patrocinando l'integrale applicazione dei principi fissati dall'articolo 2236 c.c., ed evidenziando altresì come la prudenza e la diligenza non debbano mai difettare nel medico sportivo tenuto ad adeguare i propri interventi alla natura ed al tasso di pericolosità dell'attività prestata.

In un siffatto contesto, diretto a fare dello sport un sicuro strumento di perseguimento della salute di coloro che lo praticano e non certo occasione di danni irreversibili, si è anche sottolineato come la condotta del medico sportivo, dal punto di vista dei diversi connotati che può assumere la colpa, debba, in ragione alla sua peculiare specializzazione, essere valutata con maggiore rigore di quanto richiesto in relazione all'operato di un medico generico.
Con riferimento alla valutazione della colpa e della sua graduazione si è poi statuito che è compito del giudice stabilire in che misura abbiano influito sull'errore diagnostico e di conseguenza sulla verificazione dell'evento lesivo, le false e reticenti informazioni rese dagli atleti, o dai loro allenatori, per il timore di vedere interrotte, con la compromissione della carriera sportiva, la fonte di lauti guadagni e l'agognata aspettativa di successi e notorietà. Circostanze queste che devono indurre gli operatori sportivi a "diagnosticare" anche la dissimulazione dell'atleta e ad accertare - con accurati ed attenti esami specialistici - le sue effettive condizioni e le eventuali controindicazioni (di carattere definitivo o temporaneo) all'agonismo sportivo, che rendano pericolosa la pratica sportiva.


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Fonte: Eius: http://www.eius.it/giurisprudenza/2003/001.asp
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