MOTIVI
DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società
ricorrente deduce falsa applicazione degli articoli 2043 e 2087
c.c. nonché mancanza e/o manifesta illogicità delle
motivazioni su un punto decisivo della controversia. In particolare
deduce che il Rotolo era stato curato ed assistito sino al luglio
1988 da soggetti estranei ad essa società ricorrente e nessuno
di tali soggetti aveva evidenziato che il calciatore non era idoneo
all'attività sportiva e che, dunque, non poteva giocare. Inoltre
il Rotolo era stato sottoposto a visita medica dall'Istituto di medicina
dello sport Anna Maria di Giorgio di Torino (uno degli istituti deputati
ai sensi dell'articolo 5 del decreto ministeriale 18 febbraio 1982
al rilascio del certificato di idoneità all'attività
sportiva agonistica), riconosciuto dal Coni-Fmsi. La visita era stata
effettuata il 14 luglio del 1988 ed il ritiro dei giocatori era iniziato
il 22 luglio, dopo che si era appreso, quindi, da un istituto altamente
qualificato che il Rotolo era un giocatore idoneo alla attività
agonistica.
Il tribunale aveva inoltre errato nel disattendere il ben motivato
ed autorevole giudizio medico fornito dal summenzionato Istituto di
medicina dello sport e nel basarsi, di contro, sul parere del consulente
di parte, professor Baima Bollone, che aveva visitato il calciatore
soltanto in epoca successiva ed in un contesto diverso da quello per
cui è causa ed in cui ben potevano essersi aggravate le iniziali
condizioni sanitarie dell'atleta. Non poteva inoltre condividersi
né l'assunto della sentenza impugnata nella parte in cui aveva
addebitato al club calcistico di non avere messo a disposizione dell'istituto
medico tutta la documentazione relativa alle fratture ed agli interventi
subiti dall'atleta, impedendo in tal modo l'effettuazione di una visita
accurata, né ancora l'ulteriore affermazione secondo cui la
spa Novara calcio avrebbe dovuto prevedere il verificarsi della frattura
in quanto neppure la presenza di una rondella nell'arto del calciatore
- costituente un postumo della subita operazione chirurgica - poteva
giustificare detta previsione.
Per concludere, non sussisteva alcun nesso di causalità
tra il comportamento tenuto dalla società Novara calcio e l'infortunio
subito dal Rotolo e pertanto non poteva ravvisarsi alcuna violazione
dell'articolo 2987 c.c.
1.1. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato.
Ai fini di un ordinato iter motivazionale appaiano opportune alcune
precisazioni intorno alla individuazione degli obblighi incombenti
sulle società calcistiche a livello professionistico a tutela
della salute dei propri atleti, ad esse vincolati da un rapporto di
lavoro subordinato.
L'acquisita consapevolezza che nell'esercizio dell'attività
sportiva a livello professionistico l'integrità psico-fisica
dell'atleta costituisce elemento predominante per il successo nelle
competizioni ha portato negli ultimi anni le società calcistiche
professionistiche, che stipulano contratti con atleti alla stregua
dell'articolo 10 della legge 91/1981, ad inserire nel proprio organico
un sempre maggiore numero di persone (massaggiatore, medico sociale
e, almeno per i grossi club, anche psicologo dello sport, specialista
nell'alimentazione, ecc.) addette tutte, pur con diversi compiti e
con distinte professionalità, a tutelare la salute degli atleti,
sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli alla loro
integrità psico-fisica sia attraverso la cura dei non infrequenti
infortuni e delle malattie, che trovano sovente causa nei rilevanti
sforzi caratterizzanti il gioco del calcio.
Al riguardo è opportuno ricordare come la dottrina specialistica
ed anche la giurisprudenza a fronte di eventi, anche drammatici, subiti
dagli atleti in occasione di competizioni sportive e per effetto di
non diagnosticate anomalie fisiche, abbiano sovente fatto riferimento
per l'individuazione di condotte imprudenti o negligenti ai criteri
generali fissati in relazione all'esercizio della professione sanitaria
(cfr. segnatamente per quanto riguarda l'individuazione di condotte
penalmente sanzionabili nell'esercizio dell'attività calcistica:
Cassazione penale, sezione quarta, 9 giugno 1981 relativa alla morte
del calciatore Curi del Perugia), patrocinando l'integrale applicazione
dei principi fissati dall'articolo 2236 c.c., ed evidenziando altresì
come la prudenza e la diligenza non debbano mai difettare nel medico
sportivo tenuto ad adeguare i propri interventi alla natura ed al
tasso di pericolosità dell'attività prestata.
In un siffatto contesto, diretto a fare dello sport
un sicuro strumento di perseguimento della salute di coloro che lo
praticano e non certo occasione di danni irreversibili, si è
anche sottolineato come la condotta del medico sportivo, dal punto
di vista dei diversi connotati che può assumere la colpa, debba,
in ragione alla sua peculiare specializzazione, essere valutata con
maggiore rigore di quanto richiesto in relazione all'operato di un
medico generico.
Con riferimento alla valutazione della colpa e della sua graduazione
si è poi statuito che è compito del giudice stabilire
in che misura abbiano influito sull'errore diagnostico e di conseguenza
sulla verificazione dell'evento lesivo, le false e reticenti informazioni
rese dagli atleti, o dai loro allenatori, per il timore di vedere
interrotte, con la compromissione della carriera sportiva, la fonte
di lauti guadagni e l'agognata aspettativa di successi e notorietà.
Circostanze queste che devono indurre gli operatori sportivi a "diagnosticare"
anche la dissimulazione dell'atleta e ad accertare - con accurati
ed attenti esami specialistici - le sue effettive condizioni e le
eventuali controindicazioni (di carattere definitivo o temporaneo)
all'agonismo sportivo, che rendano pericolosa la pratica sportiva.
Indietro Segue