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Cassazione Sez. lavoro
Sentenza: 8 gennaio 2003, n. 85

Calciatori e infortuni
Caso: Filippo Rotolo contro la
spa Calcio Novara e Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia spa

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Sul piano poi della individuazione dei soggetti responsabili degli eventi lesivi subiti dall'atleta, per carenza dei necessari accertamenti sanitari e/o per errori nelle diagnosi e nelle terapie prescritte, si è evidenziato in dottrina come le società sportive (o la Federazione ove si tratti di sinistri accaduti nello svolgimento delle competizioni di squadre nazionali) possano essere chiamate a rispondere alla stregua dell'articolo 2409 c.c. (in base ai quali i committenti sono responsabili dei fatti illeciti dei loro commessi, nell'esercizio delle incombenze cui sono adibiti) e come le suddette società nella sfera contrattuale possano essere assoggettate anche al disposto dell'articolo 1228 c.c., in base al quale il debitore che, nell'adempimento dell'obbligazione, si avvale dell'opera di terzi è tenuto a rispondere anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

1.2. Sotto altro versante va sottolineato come l'accertamento dello stato di salute dell'atleta vada condotto a tutto campo sperimentando, a fronte di situazioni dubbie, tutte le più aggiornate tecniche idonee a disvelarne l'effettiva condizione.

Una simile conclusione trova confronto anche nel disposto dell'articolo 2087 c.c. che - come ha più volte affermato questa Corte - si atteggia come norma di chi del sistema antinfortunistico nel senso che anche dove faccia difetto una specifica norma preventiva, la disposizione suddetta impone al datore di lavoro di adottare comunque le misure generali di prudenza e di diligenza nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore (cfr. ex plurimis: Cassazione 11427/00; 12863/98; 6169/98; 4721/98; 7636/96).

A tale riguardo non può mancarsi di osservare che ogni disciplina sportiva che, come il calcio, rende frequente lo scontro fisico tra contendenti e che per il suo accentuato agonismo porta non di rado alla consumazione di falli di gioco improntati a condotte violente, giustifica una ampia operatività nel settore in oggetto del citato articolo 2087 c.c., dovendosi le cautele a tutela della salute - cui è tenuto il datore di lavoro - parametrare sulla specifica pericolosità dell'attività svolta dallo sportivo professionista, che deve essere controllato e seguito a livello medico con continuità ed anche nel momento in cui, in sede di sedute di allenamento e di ritiro precampionato, svolge la propria attività, avendo la realtà fattuale mostrato come interventi solleciti siano serviti ad impedire la consumazione di eventi lesivi di particolare gravità ed, in qualche occasione, ad evitare finanche la morte dell'atleta (cfr. più in generale, per la statuizione che gli obblighi facenti capo sul datore di lavoro a tutela della salute dei suoi dipendenti vanno commisurati alla specificità del lavoro ed alla natura dell'ambiente e dei luoghi in cui la prestazione deve essere resa, Cassazione 11427/00 citata).

2. Alla stregua delle considerazioni sinora svolte deve ritenersi che la sentenza si sottrae ad ogni censura.
Ed infatti, come si è visto, il Tribunale di Novara ha addebitato alla società ricorrente una condotta illegittima sotto due versanti: da un lato ha rimproverato al sodalizio sportivo di non avere messo l'Istituto di medicina dello sport di Torino in condizione di conoscere la vera e travagliata storia clinica del Rotolo al fine di pervenire ad accertamenti più completi ed esaurienti di quelli in realtà svolti; e dall'altro lato ha addebitato alla società di non avere seguito l'evoluzione dello stato di salute del Rotolo che imponeva invece - anche in ragione del delicato intervento chirurgico già subito dal giocatore e dei rischi connessi alla ripresa dell'attività agonistica - una continuità di controlli al fine di prevenire rischi di nuovi infortuni e/o aggravamenti delle lesioni in precedenza subite.
Le conclusioni cui è pervenuto il giudice d'appello, per essere il corollario di una attenta valutazione delle risultanze processuali e di una esauriente ricostruzione dei fatti di causa, si sottraggono ad ogni critica in questa sede di legittimità.

Dette conclusioni appaiono rispettose anche delle norme e dei principi giuridici disciplinanti l'attività sportiva degli atleti dipendenti dalle società calcistiche professionistiche, non potendo in contrario addursi, come ha fatto la società ricorrente, la circostanza che l'Istituto di medicina dello sport - istituto di estrema affidabilità dal punto di vista scientifico - solo pochi giorni prima dell'ultimo incidente, che aveva decretato la fine della carriera del Rotolo, aveva valutato quest'ultimo fisicamente integro e, quindi, idoneo alla prosecuzione dell'attività agonistica.
L'articolo 7 della legge 91/1981 sul professionismo sportivo, nel dettare disposizioni a tutela dell'integrità fisica degli atleti statuisce tra l'altro che l'attività di costoro è svolta sotto il controllo medico secondo modalità previste dalle federazioni sportive nazionali ed approvate dal Ministero della sanità (cfr. comma 1), e contempla l'istituzione di una scheda sanitaria per ogni atleta, da aggiornare periodicamente e da custodire a cura della società sportiva (cfr. commi 2, 3 e 4).
Il decreto ministeriale 15 marzo 1995 (contenente norme sulla tutela sanitaria degli sportivi professionisti, pubblicato in Gazzetta ufficiale, serie generale n. 98 del 28 aprile 1995) stabilisce, a sua volta: che l'esercizio dell'attività sportiva professionistica è subordinata al possesso del certificato di idoneità, che accompagna l'atleta per l'intera durata della sua attività sportiva (articolo 1, commi 2 e 3); che il medico sociale, "responsabile sanitario della società sportiva professionistica" (articolo 6), è tenuto alla effettuazione periodica dei controlli ed accertamenti clinici previsti e ad ogni altro ulteriore accertamento che egli ritenga opportuno, oltre che "alla verifica costante dello stato di salute dell'atleta e dell'esistenza di eventuali controindicazioni, anche temporanee alla pratica dell'attività professionale" (articolo 7, comma 2); che lo stesso professionista è anche obbligato alla custodia personale della cartella clinica "per l'intero periodo del rapporto di lavoro tra l'atleta e la società sportiva, con il vincolo del segreto personale e nel rispetto di ogni altra disposizione di legge" (articolo 7, comma 3).


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Fonte: Eius: http://www.eius.it/giurisprudenza/2003/001.asp
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